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I novissimi: l’anima umana e l’aldilà (2)
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Seconda parte 
La buona morte

Dopo aver visto la questione dell’impenitenza finale, abbordiamo, ora, il tema della buona morte, ossia del coincidere della dipartita con lo stato di grazia.

Il dono della perseveranza finale è quello che si definisce come “grazia delle grazie” perché fa coincidere il momento della morte con lo stato di grazia e, dunque, ci assicura la salvezza eterna.

La divina Rivelazione

La Santa Scrittura attribuisce questo dono a Dio: “L’anima di chi muore in grazia, essendo gradita a Dio, è stata da Lui tolta dalle iniquità di questa vita, ove avrebbe potuto perdersi” (Sap., IV, 11, 14).

La Tradizione patristica

Sant’Agostino spiega che sia per i fanciulli sia per gli adulti il morire in grazia di Dio è uno speciale dono di Dio (De dono perseverantiae, c. 13, 14, 17). Per quanto riguarda gli adulti questo dono mantiene ferma e stabile la loro scelta del bene e impedisce loro di lasciarsi sopraffare dal male e dalle avversità.

Sant’Agostino precisa bene che questo dono insigne non c’è concesso per i nostri meriti, ma gratuitamente e per pura misericordia di Dio, che fissa l’ora della nostra morte. Tuttavia, se questo dono non può essere meritato, può essere ottenuto con le nostre suppliche: “Suppliciter emereri potest” (cap. 6, n. 10).

La ragione teologica

San Tommaso d’Aquino (S. Th., I – II, q. 114, a. 9) ne dà la ragione teologica con un semplice sillogismo: la grazia santificante è il principio di ogni merito. Ora, il principio del merito non può essere meritato, come la causa non può essere effetto di se stessa, altrimenti, la causa sarebbe nel medesimo tempo pure effetto e ciò è contraddittorio. Perciò, la buona morte o la perseveranza finale non si può meritare, ma Dio la dà gratis a chi la dà.

Solo Dio può conservare le anime nella perseveranza nello stato di grazia abituale o rimettervele dopo il peccato mortale. Tuttavia, questo dono lo possiamo e lo dobbiamo chiedere con la preghiera umile, costante, perseverante e fiduciosa, che dobbiamo indirizzare non alla giustizia divina, come nel merito, ma alla misericordia, come nel dono gratuito.

All’obiezione secondo cui l’uomo può meritare la vita eterna; perciò, potrebbe meritare anche la perseveranza finale, san Tommaso risponde che la vita eterna non è il principio del merito ma solo il suo termine e il suo fine. Perciò, possiamo ottenere la vita eterna a condizione di non perdere i nostri meriti e la grazia santificante, che, tuttavia, non abbiamo meritato ma solo ricevuto dall’onnipotente misericordia divina.

Insomma, il nostro libero arbitrio, dopo il peccato originale, sebbene sanato dalla grazia santificante, detta per questo motivo “gratia sanans”, è mutevole e non è in suo potere di stabilirsi irremovibilmente nel bene; lo può desiderare e volere ma non lo può realizzare da sé, se non è aiutato da una grazia attuale speciale (II – II, q. 137, a. 4).

Il magistero

Il Concilio Tridentino (DB, 806, 826, 832) conferma questo insegnamento, definendo la necessità di un soccorso speciale perché l’uomo giustificato perseveri nel bene. Questa grazia è un grande dono interamente gratuito, che può essere dispensato solo da “Colui, che può sostenere chi è in piedi e rialzare chi cade” (Rom., XIV, 4).

Occorre, perciò, sperare fermamente di ottenerlo fondandosi sulla misericordia ausiliatrice di Dio e lottando fortemente contro le tentazioni, lavorando gagliardamente alla nostra salvezza con la pratica delle buone opere.

Se non siamo sicuri di morire in grazia di Dio, tuttavia, vi sono alcuni segni che ce lo lasciano ben sperare: la cura di evitare il peccato mortale, lo spirito d’orazione, l’umiltà, la pazienza nelle avversità, la carità verso il prossimo, la vera devozione al Sacro Cuore e alla Madonna.

Come prepararsi alla morte?

Oltre alla fede nella vita eterna occorre una ferma speranza nel soccorso del Signore vivificate da un’ardente carità verso Dio e il nostro prossimo.

Inoltre, l’anima giusta dovrà prendere lungo il corso della sua vita mortale tutte le sue misure per essere avvertita a tempo quando la morte le sarà vicina.

Bisogna lottare contro la tendenza di nascondere agli ammalati l’avvicinarsi della morte, è un ottimo accorgimento accordarsi con un amico di avvertirsi mutuamente poiché i parenti spesso tendono a nascondersi e a nasconderci la prossimità dell’ultima ora.

Sentendo che la fine s’avvicina, il giusto deve offrire la sua vita in sacrificio a Dio, in unione al Sacrificio della Messa in cui si attua in maniera incruenta il sacrificio cruento del Calvario.

È ottima cosa chiamare il sacerdote per ricevere l’estrema unzione, il viatico e l’assoluzione.

Così ci si presenterà al cospetto del divino Giudice con l’anima libera dal peccato mortale e pronta, dopo l’espiazione della pena dovuta alla colpa nel purgatorio, a entrare in paradiso.

d. Curzio Nitoglia


 
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